{Isola di Yell - Casa di famiglia - Febbraio 1998} [Una vecchia stanza polverosa. Pulviscolo posato su ogni superficie. Odore di chiuso, stantio. Buio che contrasta con una lama di luce che penetra dalla porta e violenta si fa spazio, triangolo luminoso che lascia intravedere ombre e forme ormai dimenticate. Sale la memoria, sfreccia come veicoli in corsa, corre a raggiunger un obiettivo, si affollano ricordi che gareggiano per primeggiare, sfocati veloci improvvisi passano con un gran agitarsi per tornare a far la loro strada in un istante, silenzio che ottunde i sensi e poi ancora nuova ondata di sfere che saettano. Ad un pelo dall'essere investita, il volto sfiorato dall'onda d'urto, non essere travolti eppur essere stravolti. Un passo, un altro, il confine è varcato, come a volersi impedire la fuga la porta viene richiusa alle spalle, unica fonte luminosa che cessa d'esistere. Nessun suono percepisce l'udito, come se l'enormità stessa del gesto appena compiuto possa assorbire ogni rumore. È così che le mani tremanti vanno alla ricerca della liscia superficie dell'uscio poco dietro di lei, vi si appoggiano e così segue la schiena, ultimo il capo, appena reclinato indietro, espressione corporea di un senso di ottundimento che la pervade, aggrapparsi ad un solido oggetto che stentoreo la tiene aggrappata alla realtà. Inspira. Trattieni il fiato. Espira. Inspira. Trattieni il fiato. Espira. Profonda emissione sonora, un sospiro. Lungo e profondo sospiro, culmine di una pausa. Torna la volontà a far da padrona, la donna riacquista il controllo perduto, con un solo gesto della mano spalanca le imposte ed ora raggi solari riempiono l'ambiente. Come ancora una volta essere immersi in un ricordo, in un sogno, si muove per la stanza, sfiora le superfici, dita che si colorano di polvere, appare cenere di un passato in un solo gesto bruciato. Ed ecco che rivive per la millesima volta quella notte, il doversi incontrare all'alba, la coscienza del ritardo, la consapevolezza che forse un solo attimo sarebbe bastato, una vita in mezzo ad altre 12 strappata, l'unica vita di cui le sia mai interessato strappata a lei, allontanata senza nemmeno un ultimo saluto, inspiegabilmente troncata, suo padre. Ed ecco che sale quel sentimento soffocante, le offusca la mente, ricopre gli occhi di un velo che non le permette lucidità e mentre gli oggetti si fanno indistinti la gola si serra, secchezza delle fauci e battito cardiaco aumentato, vendetta. Non una lacrima scorre sul volto sebbene gli occhi ricolmi sono sull'orlo di un trabocco. Lentamente vaga per quella stanza, tempio dello studio, unica testimonianza di una vita di passione dedicata alla ricerca, mani che sfiorano libri, poltrone, manifesti appesi fino a giungere alla scrivania, elemento centrale, imponente altare che inneggia ancora alle scienze ed alla razionalità, elemento bloccato nel tempo. Ancora carte sparse, una penna stilografica di traverso su una di esse, ferma carte e schemi, modelli lettere ed articoli di cancelleria, un paio di occhiali chiusi ed ordinatamente riposti sopra ogni cosa, primo ed ultimo accessorio indossato ogni qualvolta il proprietario si sedeva alla stessa. Ricordi netti e ricordi sfocati, tutto confluisce nella mente, sfuma fino a sparire la vendetta mentre nostalgia e dolore si fanno spazio, lenta si siede, prende il posto che tanto a lungo ha osservato dall'altra parte del tavolo. Apre i cassetti, ordine maniacale in cui si individuano subito pile di fogli bianchi e ricariche di inchiostro, cartelle di carte compilate con quella scrittura piccola e calcata vengono estratte dall'alloggio che per tanti anni hanno avuto e poggiate sul ripiano, con delicata mano le sfoglia, usando un tocco reverenziale, gli occhi non si soffermano su ciò che viene espresso al loro interno bensì si ricolmano del poco d'anima rimasto in quei grafemi distanti ed incomprensibili. Le falangi si bloccano e tremano, quasi un lamento le sale in gola, rantolo di un animale ferito che agonizzante ha ricevuto l'ennesimo colpo, la schiena si lascia pesantemente andare sulla spalliera in un gesto di sconfitta, inattesa rivelazione. Ora stringe tra le mani una foto, vecchia rappresentazione della sua giovinezza, scatto che risale ad un anno prima della morte del genitore, genitore egli stesso artefice dell'istantanea. Una foto qualunque, uno scatto colto in un momento di naturalità, spontanea rappresentazione, semplicità di un istante rubato alla quotidianità. Quanto costa far i conti con il proprio dolore una volta estratto dopo che a lungo lo si è relegato e rinchiuso in un buio angolo del proprio io?]

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